Emme Rossa

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Gli ultimi mesi del 1944

 Episodi salienti

I giorni precedenti i fatti di Soliera

3 Dicembre 1944 – 5 fascisti uccisi in imboscate

La mancata  rappresaglia di Soliera (Novembre 1944)

Uccisione di Don Talè a Castellino delle Formiche (Guiglia)

Carpi – agguato a 4 fascisti e loro uccisione

Eccidio della Famiglia Sala a Cavezzo

La cavallina storna del Dott. Benatti a Cavezzo

La “grande battaglia di Gonzaga”

1° Dicembre 1944 – La “battaglia” di Cortile

31 Dicembre 1944 – Quinto bombardamento su Modena

 

I giorni precedenti i fatti di Soliera

 VENERDI 3 NOVEMBRE 1944

 Nella zona di Soliera avvengono una serie d’agguati ed uccisioni di tedeschi e fascisti che porteranno all'effettuazione di un grosso rastrellamento tale da creare una situazione di particolare tensione nella zona e, quanto meno anomala rispetto allo svolgersi di situazioni analoghe durante tutto il periodo della guerra civile e che porterà alla controversa analisi, delle due parti in lotta su quella che è poi stata rivista come la: "mancata rappresaglia di Soliera".

In questo giorno sono uccisi i seguenti fascisti:

CALEFFI GIUSEPPE,(3)

DALLARI FLORESTINO,(4)

MALETTI CESARE.(5)

Nella storiografia partigiana si parla di una "liberazione dimostrativa di Soliera"; gli estensori delle note partigiane così chiudono quest’episodio:

 " Rinviati alle loro case i dimostranti, le forze partigiane ripiegano ordinatamente, non senza aver prima giustiziato i criminali catturati: un maggiore, un capitano, un vicebrigadiere, oltre a due spie del luogo."(6)

 SABATO 4 NOVEMBRE 1944

 Altri due fascisti sono uccisi a Soliera; si trattava di:

VACCARI GUIDO,(9)

SACCHI ATTILIO.(10)

La moglie e la figlia di quest’ultimo saranno uccise nel massacro della "Casa rossa" a Carpi l'8 Gennaio 1945.

 MERCOLEDI 8 NOVEMBRE 1944

 A San Possidonio sono uccisi: l'impiegato del Dazio di quel paese:

BIGIANI OTELLO,(25)

e l'agricoltore di quarantuno anni:

SCACCHETTI GINO.(26)

Ancora in Comune di Soliera sono uccisi:

PALTRINIERI ANGELO,(27)

COVEZZOLI GIORGIO.(28)

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MARTEDI 14 NOVEMBRE 1944

 Si susseguono, nella bassa modenese, gli agguati e le uccisioni di fascisti isolati. A Soliera è ucciso il milite della GNR:

LONGATO LEONE.(39)

Nella zona di Carpi, una pattuglia della Guardia Nazionale Repubblicana viene inviata in servizio d'ordine, in località Ponte Nuovo di Santa Croce, sulla strada Correggio-Carpi, per controllare su di un furto che i partigiani della zona avevano effettuato qualche giorno prima.

A causa di una delazione,( era stato comunicato l'itinerario che avrebbe compiuto la pattuglia dei giovani repubblicani ), i partigiani ebbero la possibilità di preparare al meglio l'imboscata, di conseguenza, quando i quattro militi raggiunsero la località vennero circondati da soverchianti forze dei "ribelli" che, in breve tempo li catturarono e li uccisero con cinica freddezza. Erano le 14, 30 di quel pomeriggio e vennero assassinati i giovani:

ALLEGRETTI GIORGIO(40),

BELTRAMI ROMANO,(41)( Vedi fotografia)

CIPOLLI STELIO,(42)

SCHIATTI GIOVANNI.(43)

 

MERCOLEDI 15 NOVEMBRE 1944

 

Il Segretario del Partito Fascista Repubblicano, Alessandro Pavolini, è a Modena in visita ai battaglioni di Camicie Nere modenesi che lo accolsero con grandissimo entusiasmo.

A Concordia restano vittime della violenza partigiana due militi della GNR di quel presidio: il ventottenne:

PONGILUPPI BRUNO,(44)

che venne prelevato a San Possidonio e la sua salma venne recuperata a Santa Caterina di Concordia solamente nell'anno 1949; l'altro era il ventenne:

GUANDALINI VALERIO.(45)

Nella zona di Carpi restano uccisi:

TARONI AMERIGO.(46)

STENGHINI VERARDO.(47)

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 La mancata rappresaglia di Soliera

 

MARTEDI 21 NOVEMBRE 1944

 "La mancata rappresaglia di Soliera".

 Ciò che successe in questi giorni a Soliera, è stato argomento alquanto discusso e, sebbene attraverso ottiche comprensibilmente diverse, viene portato ad esempio e citato come vittoria, da entrambe le fazioni.

Ma dalla ricostruzione di questo episodio emerge, con chiarezza, in primo luogo il modo di portare avanti la guerriglia antifascista, anche a costo di mietere vite innocenti, in secondo luogo viene ancor più messa in evidenza la brutalità dell'impostazione delle rappresaglie tedesche nei confronti della popolazione civile.

I "resistenti" esaltano la presa di posizione tenuta nelle trattative tra le parti in causa, ma vedremo con quante contraddizioni e distinguo: i fascisti, al contrario, tendono ad evidenziare i fatti di Soliera come una delle loro azioni moderatrici più significative, poiché riuscirono attraverso il loro operato, ad evitare ulteriori spargimenti di sangue.

Fu questo uno dei pochi episodi di tutta la guerra civile, dove, a fronte della cattura di un gruppo di tedeschi e fascisti eseguito dai partigiani non vi fu l'immediata soppressione, dato che i prigionieri vennero tenuti in vita per cercare uno scambio con i tedeschi. ma la reazione di questi ultimi non fu diversa da tante altre analoghe situazioni; cattura indiscriminata di ostaggi, proposte di fucilazione in massa e di distruzione di paesi, se non venivano restituiti i prigionieri o se non si presentavano gli autori degli attentati.

Molte rappresaglie avvenute nel Nord Italia e nel modenese in particolare ebbero tutte presupposti similari a quello di Soliera:

Episodi come quello del Carabiniere Salvo D'Aquisto che, presentatosi innocente, alle richieste tedesche e condannato a morte, evitando in tal modo la rappresaglia, sono unici ed eccezionali.

Bisogna veramente inchinarsi alla memoria di questo soldato che con il suo sacrificio, ha relegato nell’abominio quelli che, vigliaccamente, uccidendo nell'agguato, avevano messo a repentaglio la vita di persone innocenti lasciandole alla mercé di rabbiose reazioni. Ma, a parte questo episodio, non si presentò mai nessun partigiano, esecutore di attentati, per evitare le rappresaglie sulla popolazione civile che, il tedesco, con la rigida ed ottusa , in questi frangenti, mentalità teutonica, portava avanti sul territorio italiano, malgrado i continui interventi del fascismo repubblicano , il quale, nella maggioranza dei casi cercava di porre un freno alle fucilazioni indiscriminate.

Ed è anche in funzione di questo, oltre a tanti altri aspetti, che la RSI, non fu assolutamente succube del tedesco, il quale, non bisogna dimenticarlo, aveva pesantemente occupato il territorio italiano dopo il tragico 8 Settembre, ancor prima che venisse costituita, per volere di Mussolini, la nuova forma del governo repubblicano.

Ma quando mai, nella storia della resistenza, si è posto, anche minimamente, il problema di un Italia tutta ribelle all'ex alleato tedesco? Non sarebbero state ben più gravi le conseguenze che l'Italia avrebbe dovuto sopportare? Con quali prospettive, dopo il tutti a casa, l'esercito italiano avrebbe potuto contrastare la rabbia e la prepotenza di chi, sentitosi tradito, dopo essere intervenuto massicciamente anche per proteggere il territorio italiano spendendo in vite umane pesantemente, prometteva di fare terra bruciata? E tutto quello che è stato possibile salvare dall'immane tragedia, come opere d'arte, industrie, manufatti ecc. non è, in buona parte dovuto al merito della RSI? E tutti gli uomini politici antifascisti, che ancor oggi detengono posizioni di potere e che furono salvati dalle persecuzioni tedesche, per merito di quei fascisti che al termine della guerra vennero scannati senza alcun riconoscimento, non devono anche loro qualcosa, se non tutto, al fatto che fosse presente sul territorio italiano un Governo di connazionali per quanto condizionato dalla presenza tedesca sul territorio?

Inoltre non si possono dimenticare i gravi contrasti che sorsero, ad ogni livello, tra italiani e tedeschi, in modo particolare sul modo di come si doveva fronteggiare la presenza delle bande ribelli e di come si doveva applicare la rappresaglia.

L'immagine stereotipata, che sino ad oggi la storiografia resistenziale ha cercato di portare avanti e non sempre creduta, dei fascisti servi sciocchi dei tedeschi è falsa ed arbitraria ed ancor più tendenziosa, poiché cerca di mitizzare la lotta fratricida, giustificandola ed esaltandola. Sarebbe più logico, cercare di mettere in evidenza, nella ricerca storiografica, quali furono le motivazioni e gli scopi in particolare della componente più forte del CLN, cioè quella comunista, che della guerra civile cercò di farne un trampolino di lancio per la conquista del potere. Ma da parte delle altre forze politiche, che combatterono il fascismo senza macchiarsi degli orrendi crimini commessi dai "rossi", è ingiustificabile l'accettazione supina della glorificazione della resistenza, poiché nessuno si è scordato, anche se a distanza di quasi cinquanta anni, le assurde carneficine avvenute prima e dopo la "liberazione". Questo atteggiamento li fa’ diventare complici di coloro che, attraverso la scusante dell'azione di guerra, commisero i più atroci ed ingiustificati massacri.

L'episodio di Soliera, come abbiamo visto, ebbe un antefatto; una serie di imboscate e di attentati alle truppe nazifasciste con numerosi morti e feriti. Vi fu inoltre un azione dei "ribelli" contro l'anagrafe del Comune dove vennero distrutti i registri(65), poi, un gruppo di italo-tedeschi, addetto a dei rilevamenti tecnici, venne attirato in un tranello, catturato e portato dai partigiani in uno sperduto casolare della zona. Il 14 e 15 Novembre il Comando tedesco effettuò nel comprensorio di Soliera un grosso rastrellamento; una settantina di civili vennero presi in ostaggio e portati , parte all'Accademia Militare di Modena e parte nella caserma di Carpi. Nei testi che tracciano la storia della resistenza nel modenese, si trovano notevoli discordanze nel raccontare questo fatto ed il suo prologo.

Si parla di scontri avvenuti in quei giorni tra partigiani "sap" e le truppe tedesche che prendevano parte al rastrellamento, con la cattura di alcuni soldati, il ferimento di una quindicina di questi e dell'uccisione di quattro militari, e di nessuna perdita partigiana.(66)

Un altra fonte, parla di 18 morti tedeschi e di 14 prigionieri(67); ma, in linea di massima non vengono ben evidenziate nella loro progressione, le azioni svolte nei giorni precedenti al rastrellamento, fatte di imboscate ed agguati e che causarono la morte ed il ferimento di decine di militari tedeschi e fascisti; lo stillicidio di queste azioni era continuo ed esasperante e i rastrellamenti erano artatamente voluti dai partigiani comunisti, così come conferma il giornalista partigiano Giorgio Bocca, in quanto dovevano servire ad aumentare sempre più la spirale dell'odio sulla quale poi, ovviamente era più facile speculare dal punto di vista propagandistico.

Il Comando tedesco, attraverso un proclama che venne fatto affiggere in tutte le località del carpigiano,(68) pretendeva la liberazione degli ostaggi in mano ai partigiani, entro le ore 12 del 18 Novembre; in caso contrario avrebbe dato il via alle rappresaglie con la fucilazione degli uomini arrestati e la distruzione dei paesi di Limidi e di Soliera.

Dal canto loro i partigiani erano risoluti a resistere sulle loro posizioni e contemporaneamente ad iniziare le trattative per lo scambio dei prigionieri.(69)

Da varie parti venne richiesto l'intervento del Vescovo di Carpi, Monsig. Della Zuanna; in un primo tempo il presule non aderì all'invito, ma successivamente, e per intercessione delle autorità repubblicane, anche attraverso suoi canali, ebbe gran parte nelle trattative che seguirono.

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 "Sull' avvio di queste trattative esistono diverse versioni, giacchè, come in tutti gli episodi che si svolgono in un clima ribollente, anche per i particolari sui fatti di Limidi ci sono notizie contrastanti."(70)

 Che le notizie riportate dalle fonti antifasciste siano contrastanti è facilmente controllabile da una attenta lettura delle varie pubblicazioni resistenziali ove si rilevano interpretazioni di comodo e volutamente non corrispondenti alla successione degli avvenimenti.

 Il clima in quei giorni nella zona di Soliera era, come è facilmente comprensibile, particolarmente teso. Colloqui frenetici avvennero tra i rappresentanti dei partiti antifascisti ed il Comando dei Gap il quale tergiversava nelle sue posizioni intransigenti, portando così all'esasperazione una situazione estremamente delicata, poiché:

 "non voleva sottostare al ricatto nazifascista."(71)

 Ma la rabbia della popolazione civile stava per esplodere, come infatti avvenne, e la stessa storiografia resistenziale lo deve ammettere, poiché:

 "crescevano, da parte della popolazione e se ne facevano eco molti degli stessi combattenti, le pressioni affinché si lasciassero i prigionieri al fine di sedare i nazisti, che avrebbero potuto attuare la minaccia di distruggere Limidi e Soliera e di fucilare gran parte degli ostaggi."(72)

 Di fronte all'atteggiamento deciso della popolazione dunque il CLN è costretto a fare marcia indietro nei suoi programmi, anche se a denti stretti; nel passo che riportiamo emerge a chiare lettere che discussione c'è stata, e grossa e molti, probabilmente, avrebbero lasciato che le cose fossero andate avanti, come successe in altre analoghe circostanze, per salvaguardare il "prestigio" dei partigiani, anche attraverso la spietata rappresaglia tedesca:

 "i motivi di prestigio e di onore militare si sarebbero potuti, tuttavia seppure con grande sforzo e sacrificio, subordinare all'obbligo umano di salvare dalla morte gli ostaggi civili e dalla distruzione Limidi e Soliera."(73)

 In questo modo viene giustificata l'indecisione del CLN nella restituzione dei prigionieri e, di conseguenza, il mantenimento dello stato di terrore in cui, in quelle drammatiche ore, vissero le popolazioni civili della zona, con la scusante che:

 "liberando i prigionieri nazifascisti, questi avrebbero ugualmente compiuto il massacro."(74)

 e di conseguenza ne sortiva fuori la teoria partigiana secondo la quale:

 "per salvare quei concittadini non bisognava cedere."(75)   

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 In questo frattempo interveniva il Vescovo di Carpi che chiese una dilazione; venne così portato al 20 Novembre l'ultimatum che era stato precedentemente fissato dal Comando tedesco per le ore 12 del 18 Novembre.

Mentre si attendeva questa scadenza e mentre parecchi ostaggi venivano portati nei pressi del cimitero, avvenne nella piazza di Soliera, una dimostrazione guidata dai familiari dei catturati e di buona parte della popolazione. Manifestazione spontanea ed improvvisata nella quale parecchie persone intervennero criticando aspramente l'operato dei partigiani che, con le loro azioni, mettevano a repentaglio la vita di inermi cittadini.(76)

In seguito a questa presa di posizione, oltre ad un successivo intervento del Vescovo di Carpi, si arrivò ad una ulteriore sospensione del termine dell'ultimatum. Il Comando tedesco a sua volta, propose di cessare la rappresaglia, che in parte era già stata iniziata con l'incendio di alcune case di Limidi, fatte evacuare in precedenza, spostando ancora la data, fissata per le 15 del giorno 20, alle ore 8 del 21 Novembre, se il comando partigiano avesse assicurato la restituzione dei prigionieri italo-tedeschi.

 "I nazifascisti effettivamente non si mossero dopo le 15 del giorno 20 dimostrando così che stavano ai patti. All'alba del 21 tutte le forze partigiane della zona erano mobilitate in armi per fronteggiare qualsiasi eventualità. I prigionieri tedeschi furono rilasciati, dopo aver sottoscritto una dichiarazione in cui attestavano il buon trattamento ricevuto durante la detenzione......Fin dalle prime ore dello stesso giorno il nemico dava anch'esso inizio alla scarcerazione degli ostaggi.(77)

 Seppure con enorme difficoltà, la storiografia partigiana deve riconoscere l'onestà delle posizioni dei Comandi Italo-tedeschi; ma nelle conclusioni i commenti che chiudono il racconto su questa mancata rappresaglia, sono a dir poco esaltanti:

 "La prova di forza era ormai vinta, si delineava per il movimento partigiano una grande vittoria".(78)

"Una magnifica vittoria politico militare"

"Vittoria partigiana."

"Sconfitta dei tedeschi che dovettero recedere dalle loro posizioni iniziali."(79) 

"L'intervento del Vescovo, la fermezza del Comando partigiano, l'alto senso patriottico della popolazione costrinsero i tedeschi a sospendere una rappresaglia."(80)

Questa è la storia raccontata dalla parte vincente; attraverso innumerevoli tortuosità vengono modificati anche i fatti più evidenti e viene completamente capovolta ogni realtà. Una volta tanto che non vengono eseguite rappresaglie indiscriminate, sebbene attraverso l'indecisione ed il continuo ripensamento dei partigiani che non hanno proceduto, come solitamente avveniva, ad una inutile "esecuzione" dei nove prigionieri nazifascisti che avrebbe provocato una ben più grave carneficina, si vuol far passare tale avvenimento come una grossa conquista, politico-militare, della resistenza.

E i giorni di incubo e di angoscia vissuti dagli ostaggi e dalla popolazione di quelle contrade? Quanta parte ha avuto la ribellione della gente del popolo alle proditorie azioni partigiane, nel ripensamento dei comandi gappisti? Quante altre stragi si sarebbero potute evitare se simili "ripensamenti" fossero avvenuti anche nelle altre situazioni similari? A prescindere dunque, dalla tanto esaltata vittoria partigiana, o dalle altrettante dichiarazioni vittoriose dei comandi tedeschi e fascisti, che hanno visto esaudite le loro richieste, ci pare questa una vittoria del buonsenso che, raramente o quasi mai, ha avuto il sopravvento negli episodi di terrorismo e di rappresaglia, in quei tremendi 600 giorni.

Ma che dalla parte antifascista, sia pur essa la parte vincente, anche nella guerra della carta, non si voglia assolutamente riconoscere la buona volontà dei tedeschi e dei fascisti nell'attendere che avvenissero i dovuti interventi sia del Presule di Carpi, sia del Comando Provinciale della GNR di Modena, è piena dimostrazione della malafede e della superbia con cui, ancora oggi, vengono giudicati gli avvenimenti di quei tempi; ed è ormai trascorso quasi mezzo secolo.

 

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 Carpi – agguato a quattro fascisti e loro uccisione

 MARTEDI 14 NOVEMBRE 1944

 Si susseguono, nella bassa modenese, gli agguati e le uccisioni di fascisti isolati. A Soliera è ucciso il milite della GNR:

LONGATO LEONE.(39)

Nella zona di Carpi, una pattuglia della Guardia Nazionale Repubblicana viene inviata in servizio d'ordine, in località Ponte Nuovo di Santa Croce, sulla strada Correggio-Carpi, per controllare su di un furto che i partigiani della zona avevano effettuato qualche giorno prima.

A causa di una delazione,( era stato comunicato l'itinerario che avrebbe compiuto la pattuglia dei giovani repubblicani ), i partigiani ebbero la possibilità di preparare al meglio l'imboscata, di conseguenza, quando i quattro militi raggiunsero la località vennero circondati da soverchianti forze dei "ribelli" che, in breve tempo li catturarono e li uccisero con cinica freddezza. Erano le 14, 30 di quel pomeriggio e vennero assassinati i giovani:

ALLEGRETTI GIORGIO(40), 

BELTRAMI ROMANO(41)     (vedi fotografia)

CIPOLLI STELIO,(42)

SCHIATTI GIOVANNI.(43)

MERCOLEDI 15 NOVEMBRE 1944

 Il Segretario del Partito Fascista Repubblicano, Alessandro Pavolini, è a Modena in visita ai battaglioni di Camicie Nere modenesi che lo accolsero con grandissimo entusiasmo.

A Concordia restano vittime della violenza partigiana due militi della GNR di quel presidio: il ventottenne:

PONGILUPPI BRUNO,(44)  (vedi fotografia)

che venne prelevato a San Possidonio e la sua salma venne recuperata a Santa Caterina di Concordia solamente nell'anno 1949; l'altro era il ventenne:

GUANDALINI VALERIO.(45)

Nella zona di Carpi restano uccisi:

TARONI AMERIGO.(46)

STENGHINI VERARDO.(47)

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 La “cavallina storna” del Dott. Benatti a Cavezzo

 DOMENICA 19 NOVEMBRE 1944

 A Cavezzo avvengono due spietate esecuzioni partigiane nei confronti di una giovane donna e del Dott.:

BENATTI ENRICO.(55)

Così viene raccontata, in una testimonianza coeva, questa "esecuzione":

 "Il povero Dott. Benatti, come il Padre del Pascoli ne "La cavallina storna", rincasava di sera dopo il solito giro dei suoi malati, a bordo di un calesse con il mantice alzato, trainato da un cavallo. Ad un chilometro da casa una sventagliata di mitra sparatagli da dietro lo fulminò e ferì al collo il cavallo che, spaventato, al galoppo corse a casa sino a fermarsi davanti alla porta dello studio del suo padrone. Venne fatta circolare la voce che fosse stato un fascista del luogo, ma tali accuse vennero fatte cadere. Sembra invece che il Benatti, non fascista repubblicano ed anche prima tiepido fascista, uomo integerrimo, non abbia voluto dare ai partigiani il formaggio del caseificio di cui era presidente, dicendo : "Io non sono padrone ma solo consegnatario: se verrete di notte  a rubarlo. io non potrò che constatare l'accaduto e tacere, ma io regalare della roba non mia, mai."(56)

 La giovane donna uccisa si chiamava:

BALESTRI IRMA.(57)

Anche questo assassinio viene raccontata nella testimonianza sopracitata:

 "Scompare la giovinetta Balestri Irma, senza una ragione plausibile, a meno che non fosse vera la voce che circolava allora e ben più oggi (1948 - data dell'estensione della testimonianza) che la ragazza essendo molto procace, fosse stata presa per allietare gli ozi dei partigiani. Voci dicono che venne tenuta per otto giorni in chiuso da maiali, per poterla "usare"; poi fù orrendamente seviziata ed uccisa."(58)

A Santa Maria di Mugnano viene ucciso il cinquantenne:

NAVA GEMINIANO.(59)

A Carpi vengono uccisi da formazioni partigiane i seguenti militi della GNR:

 BERNINI ERMES,(60)

RAGUSA ALFONSO,(61)

REZIA FRANCO,(62)

      ESPOSITO GIUSEPPE.(63)

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 1° Dicembre 1944 – La “battaglia” di Cortile

 VENERDI 1 DICEMBRE 1944

 Dopo la serie d’agguati e d’attentati avvenuti nel mese di Novembre in tutto il carpigiano e in seguito a notizie circa un vasto movimento partigiano in quelle zone, i comandi tedeschi e fascisti effettuano un rastrellamento che porta alla cattura d’alcuni partigiani che saranno immediatamente fucilati(1), oltre all'incendio di parecchie case.

La storiografia partigiana documenta ampiamente questo fatto(2) ampliando, come il solito, notevolmente gli avvenimenti; ha trasformato lo scontro avvenuto a Cortile di Carpi tra formazioni partigiane e reparti tedeschi e fascisti, in una gran vittoria delle "bande" sappiste, citando cifre decisamente esagerate circa le perdite degli italo-tedeschi:

 "E siamo alla vittoriosa battaglia di Cortile del 1° Dicembre, che durò dalle 8,30 del mattino fino a notte, frazionandosi in una serie di scontri manovrati lungo un fronte di quasi una decina di chilometri, con la partecipazione, nelle varie fasi e settori di oltre 200 tra fascisti e tedeschi e circa 100-120 gappisti e sappisti dall'altra."(3)

 Secondo una versione, tratta dal diario della Brigata partigiana, W.Tabacchi, le perdite nazi-fasciste sarebbero state:

 "56 morti, tra i quali 4 ufficiali e oltre 50 feriti certi, che però secondo notizie non controllate, sarebbero di molto superiori. Per rappresaglia il nemico trucidava 19 cittadini e distruggeva 5 case coloniche. Perdite partigiane: 1 pilota francese e 3 sappisti caduti in combattimento, 2 sappisti feriti."(4)

 In un volantino diffuso dalla federazione modenese del PCI in data 14 Dicembre 1944, si tracciava questo bilancio:

 "Nelle prime ore del 1° Dicembre un grosso contingente composto di circa 2000 fra tedeschi e fascisti iniziava una vasta operazione di rastrellamento in tutto il Carpigiano. Dalle prime informazioni 8 fascisti e 19 tedeschi sono rimasti uccisi..."(5)

 Confrontando i dati riportati in questi passi della storiografia partigiana risulta evidente la faciloneria con cui i redattori di queste storie, che dicono di basarsi su testimonianze orali e scritte attendibili, affrontano la storia della guerra civile nelle nostre contrade, dando per certe solamente le versioni di parte, inficiate tra l'altro da ricordi ormai obsoleti e tendenzialmente portati all’esagerazione, oppure da scritti dell'epoca, giudicati anche da loro stessi non veritieri.(6)

A Carpi, in questo giorno resta ucciso il Tenente dell'esercito territoriale:

WILLIAM WALTER(7)  

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 3 Dicembre 1944 – 5 fascisti uccisi in imboscate

 DOMENICA 3 DICEMBRE 1944

 Numerosi fascisti sono uccisi in questo giorno in agguati o attentati.

A Cognento di Modena due fratelli, entrambi militi della GNR, sono trucidati dai partigiani:

BONACINI CESARE,(10)

BONACINI LINO,(11)

oltre all'autista di trentaquattro anni:

PEDRIELLI GIOVANNI.(12)

A Modena è prelevato dalla sua abitazione e ucciso, in Stradello San Faustino il calzolaio di trentotto anni:

OLIVIERI DARIO.(13)

In località imprecisata resta ucciso il modenese di trentasei anni:

GOLINELLI SECONDO.(14)

Sempre nel modenese l'inarrestabile spirale della vendetta porta altri lutti. A San Matteo, frazione del Comune di Modena sono fucilati sette partigiani.

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 Uccisione di Don Talè

 SABATO 16 DICEMBRE 1944

 In moltissime pubblicazioni della storiografia resistenziale si dà ampio spazio alla partecipazione del clero alla resistenza e vengono elencati, con dovizia di particolari, i sacerdoti che lasciarono la loro vita nella guerra civile colpiti dal piombo  tedesco o fascista. Molto raramente, o quasi mai, troviamo citati i sacerdoti che vennero "giustiziati" dalle bande partigiane comuniste come nel caso che vi presentiamo.

A Castellino delle Formiche, una piccola frazione di Guiglia, vengono prelevati e poi soppressi da elementi partigiani un parroco e la sua domestica:

DON ERNESTO TALE',(45)

BELLINI MARIA.(46)

Come testimonianza riportiamo uno scritto tratto da fonte d’ispirazione cattolica:

 "Una notte vennero a chiamare il parroco. Giù a "La Riva" in fondo al fiume proprio sotto i "Sassi", c'era un ferito da assistere. Il solito tranello. Si alzò e chiese al contadino che lo accompagnasse. Ma quello si rifiutò. Decise allora di andare da solo. "Non si fidi" gli disse la sorellastra Maria. "Debbo andare" rispose; si tratta di un moribondo. Ma quella lo seguì sperando che la sua presenza l'avrebbe aiutato.....Arrivati che furono, ecco la sorpresa. Spinti tutti e due dentro una porta, si istituì lì per lì, un simulacro di processo contro il povero vecchio prete. Lo accusavano di spionaggio. Poi senza porre tempo in mezzo li accoltellarono tutti e due. Uscirono e, improvvisata una buca li trascinarono fuori. Ma mentre la donna non dava più segni di vita, il prete si lamentava ancora. Allora uno riprese in mano la zappa e gli diede due colpi sulla testa. Poi li seppellirono."(47)

E a proposito di questo episodio, nel diario del Parroco di Montecreto si ricorda che la popolazione della zona, in quel periodo, era costretta a subire le vessazioni di una compagnia di comunisti ignoranti.(48)

A Milano, alle ore 16 presso il Teatro Lirico, Mussolini pronuncia il famoso discorso che riporterà un grande entusiasmo in tutti i fascisti repubblicani.(49)

Intanto sul fronte occidentale e precisamente in Belgio, nella zona militare delle Ardenne, le truppe tedesche comandate dal Generale Von Runstendt, sferrano un poderoso attacco alle linee americane, sfondandole e penetrando per una profondità notevole alle spalle delle armate USA.

Sarà questa l'ultima grande avanzata tedesca della seconda guerra mondiale. A Bastogne le truppe "alleate" stavano per crollare, ma circostanze estremamente favorevoli, in particolare le condizioni meteorologiche che mettendosi al bello favorirono l'intervento aereo angloamericano, permetteranno loro di passare alla controffensiva, ribaltando così l'ultima "chance" a portata di mano degli eserciti di Hitler.

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  Eccidio della Famiglia Sala a Cavezzo

 DOMENICA 17 DICEMBRE 1944

 Intanto nelle zone della bassa modenese continua spietata la sanguinosa guerra civile. A Cavezzo due fratelli vengono trucidati assieme alla loro madre; si trattava del milite della GNR:

SALA VINCENZO,(50)

di trenta anni, e del fratello di ventitré anni:

SALA LIBERO,(51)

assieme a loro venne uccisa la madre di cinquantasei anni:

SALA ZERBINI AQUILINA.(52)

Così viene visto lo sterminio di questa famiglia da una testimonianza coeva:

 "La famiglia Sala abita all'Uccivello, frazione di Cavezzo; gente tranquilla, buona, estranea alla politica. Composta dalla madre, vedova di cinquantasei anni, dalla figlia sposata a Cavezzo e di due maschi; uno assicuratore, abita a Mirandola, l'altro ventenne accudisce la madre al lavoro dei campi. Un pomeriggio si presenta un giovane che chiede del fratello maggiore; alla madre ed alla figlia appare subito evidente che si trovano di fronte ad un partigiano, di fronte alle precise richieste del giovane, la figlia di sua iniziativa scivola fuori di casa inosservata e corre a Cavezzo ad avvisare del fatto il cognato, vice capo delle BB.NN. Subito questi con due commilitoni accorre sul luogo; ne nasce un conflitto  in cui il partigiano rimane ucciso, ma anche il vice-capo riporta una grave ferita che in capo a pochi giorni lo porta a morte.

La Domenica successiva, alcuni partigiani in bicicletta, tra i quali una donna, fanno irruzione in casa Sala e vi sorprendono la madre con il figlio maggiore; senza preamboli ingiungono loro di seguirli: i disgraziati intimoriti e non sospettando quello che li attendeva si avviano verso San Martino Secchia. Per somma sventura poco lontano da casa s'incontrano con l'altro figlio che stava ritornando a casa dopo aver passato la notte al lavoro obbligatorio per i tedeschi. Incontrando madre e fratello, naturalmente chiese dove stessero andando, a questo punto i partigiani prelevano anche lui. Sempre in gruppo arrivano, per la strada Canalazzo al gruppo di case prima dell'argine del Secchia. Si fermano e sospingono i tre disgraziati sul bordo della strada con le spalle rivolte al profondo canale che la fiancheggia. Il capo del gruppo inizia una concione- processo accusando gli sventurati di aver fatto uccidere un partigiano; i poveretti negano ogni addebito, ma tutto è inutile nè vale il pianto della vecchia madre, il partigiano li condanna a morire subito. I mitra vengono puntati ed una nutrita scarica li fulmina, i poveretti rotolano nel canale dibattendosi, negli ultimi aneliti di vita, nella poca acqua che copre il fondo. Vi è chi afferma che uno dei disgraziati fosse rimasto sulla riva, ma che un partigiano con una pedata lo abbia gettato giù. I tre sono rimasti due giorni semisommersi dall'acqua del canale, finché non vennero avvisate le autorità di Cavezzo che provvidero a rimuovere i cadaveri."(53)

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 La “grande battaglia di Gonzaga”

 MARTEDI 19 DICEMBRE 1944

In un agguato tra Bomporto e Ravarino viene ucciso tale:

ROSATI DANTE.(58)

In questa cronistoria dei 600 giorni della RSI in Provincia di Modena, dobbiamo prendere in considerazione un altro episodio avvenuto fuori dai confini, seppure in una zona limitrofa, in quanto vi presero parte formazioni partigiane del modenese e vi rimasero pure uccisi due militi repubblicani modenesi. Si tratta della cosiddetta ed enfaticamente chiamata, dalla storiografia resistenziale: "grande battaglia di Gonzaga".

Inoltre, come nel precedente fatto avvenuto nel mantovano, quello del 7 Luglio 1944 a San Giacomo delle Segnate, notevole divergenze di interpretazione sono sorte nella storiografia antifascista, dove emerge la mistificazione di tanti racconti resistenziali, in quanto sono stati amplificati in modo a dir poco assurdo i fatti, distorcendo completamente la realtà, che tenteremo di fare apparire attraverso le varie interpretazioni, nella giusta ottica.

Il partigiano "Nansen", che abbiamo già visto all'opera in altre occasioni di scontri avvenuti nella bassa modenese e mantovana(59), organizza, a suo dire, un colpo di mano, assieme ai gruppi sap di Rolo, Budrione, Novi, Fossoli, Migliarina e ad un gruppo del distaccamento "Aristide", ai Presidi fascisti di Gonzaga, nel mantovano.

350 partigiani, secondo le fonti resistenziali, ma molti meno secondo quelle fasciste, provenienti dalle zone ricordate, si apprestano ad attaccare la Caserma della GNR, una scuola, trasformata sempre secondo le storie comuniste, in "campo di concentramento"(60) e la Caserma della Brigata Nera.

Alle ore 23 inizia l'attacco dopo la cattura di un capitano tedesco, che doveva servire per la sorpresa nei confronti delle sentinelle.

"Nansen decise di sfruttare il vantaggio offertogli dalla cattura del Capitano delle SS: insieme con questi prese il russo Alessandro.....e il partigiano Scarpone (Alcide Garagnani) e si avviò verso le due sentinelle che naturalmente gli intimarono l'alt. A questo punto, se fosse stato ragionevole, il Capitano delle SS, eseguendo gli ordini comunicatigli dal russo, avrebbe dovuto intimare alle sentinelle di abbassare le armi e lasciar venire avanti il gruppo, ma egli invece urlò l'allarme. Nansen allora balzò addosso alla sentinella più a tiro e le spezzo il mitra tra collo e spalle e la lasciò bocconi sul terreno, mentre il russo uccideva con un pugnale il capitano delle SS."(61)

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 Venivano, in questo modo, catturati i tedeschi che si trovavano all'interno della caserma, mentre una ronda fascista, composta da cinque uomini, veniva eliminata all'esterno da altri partigiani che sopraggiungevano.(68)

Intanto, sempre secondo la storia del partigiano Nansen, dalla Caserma della Brigata Nera venne iniziato un fuoco di mitragliatrice pesante che venne eliminata con un colpo di panzer-faust di cui erano muniti gli assalitori. Iniziò così l'attacco alla caserma della GNR, dopo che un grappolo di bombe aveva scardinato la porta d'ingresso. I militi,

 "sorpresi da tanta audacia"

dopo breve tempo, si arresero.(63)

Si continua con l'assalto alla Caserma della Brigata Nera che si difende con ostinazione per alcune ore. Poi dopo un primo sganciamento partigiano, i militi della caserma attaccata fuggono disordinatamente per la campagna permettendo così ai partigiani di entrare nell'edificio e liberare i prigionieri colà detenuti.(64)

Sempre secondo questo fantasioso racconto, le perdite nazifasciste sarebbero da valutarsi in 30-40 morti ed un numero imprecisato di feriti e dispersi; il bottino catturato: due automezzi efficienti carichi di candelotti di uso bellico, una Fiat 1100, circa 50 moschetti, 20 mitra, 30 fucili Mauser, munizioni e bombe a mano abbondanti. Perdite partigiane, due morti e cinque feriti non gravi.(65)

Di tutt'altro avviso sono altre informazioni, sempre desunte dalla storiografia partigiana.(66)

Da parte del Comando della 65° Brigata partigiana si ammette che il colpo indirizzato contro la Caserma della Brigata Nera è fallito e se ne addossa la responsabilità al citato "comandante" Nansen,(67) ammettendo esplicitamente che:

 "per la confusione sorta non fu invece attaccata Villa Gina (la caserma delle BB.NN.) e la battaglia si frazionò in una serie di scaramucce per le vie della cittadina, esaurendosi alle prime ore del giorno 20."(68)

 In queste valutazioni sconclusionate e confusionarie sulla ricostruzione dei fatti di Gonzaga, sono più che evidenti i falsi ammessi da una parte della stessa storiografia partigiana ma, pur dando per scontato, che almeno inizialmente l'attacco venne condotto con una certa audacia approfittando della sorpresa, per ristabilire la verità su quell'episodio è bene ascoltare anche la testimonianza della controparte cioè di alcuni superstiti delle BB.NN., che si trovarono coinvolti in questa, "grande battaglia" e che hanno dichiarato :

 "Secondo le tesi ufficiali il paese di Gonzaga, "potente piazzaforte nazifascista", sarebbe stato attaccato vittoriosamente dalle forze partigiane che avrebbero sconfitto e costretto alla resa le robuste e agguerrite formazioni tedesche e fasciste che lo presidiavano.....Prima di tutto và sfatata la leggenda della piazzaforte. Il paese era presidiato da 40 squadristi della Brigata Nera, 20 militi della GNR e 17 tedeschi. La zona era calmissima: non si erano mai visti partigiani. L'azione, infatti, fu organizzata fuori dal territorio mantovano e i partigiani giunsero all'imbrunire del 19 Dicembre 1944. Dopo essersi concentrati nel recinto della Fiera, i partigiani si mossero verso le 23 e bloccarono le vie di accesso al paese. Il caso volle che una pattuglia partigiana catturasse il Comandante del Presidio tedesco, certo Zimmermann e la sua segretaria. Lo Zimmermann venne costretto a salire su una automobile e condotto davanti all'ingresso dell'edificio delle scuole dove era accasermato il presidio tedesco. Là giunto lo Zimmermann sotto la minaccia delle armi, dovette annunciare alle sentinelle che la vettura faceva parte di un convoglio in arrivo e che il portone doveva essere aperto per lasciare entrare gli automezzi. Le sentinelle, una italiana e una germanica, non sospettarono di nulla (era buio pesto) e i partigiani penetrarono così nell'edificio. Uccisero subito le due sentinelle, poi si lanciarono nelle aule dove dormivano i soldati tedeschi e li massacrarono tutti prima che questi comprendessero che cosa stesse accadendo. Anche alcuni militi della GNR che dormivano nell'edificio furono uccisi e solo uno riuscì a fuggire e a dare l'allarme alla vicina caserma della Brigata Nera.

Contemporaneamente all'attacco all'edificio delle scuole, un altro gruppo di partigiani si portò davanti alla caserma della GNR, dove si trovavano, in quel momento appena una quindicina di militi. La leggenda creata nel dopoguerra vuole che i guerriglieri abbiano conquistato la caserma grazie a leggendari eroismi dopo aver fatto saltare la porta. Ecco invece la verità. Quando i partigiani si trovarono davanti alla porta, la moglie del brigadiere comandante la GNR, sentendo del tramestio, e sospettando che in paese ci fossero dei partigiani, aprì i battenti. Si trovò così di fronte ai guerriglieri, armati fino ai denti. La povera donna, in stato interessante, si spaventò talmente che non riuscì nemmeno a gridare. Fu così che i partigiani raggiunsero senza colpo ferire le camerate dove dormivano i militi, catturandoli tutti e uccidendone subito alcuni.

Resta ora la faccenda della resistenza opposta dagli squadristi della Brigata Nera e della successiva ritirata di questi ultimi... La Caserma dove si trovavano i 40 squadristi della Brigata Nera non venne mai attaccata.

I partigiani si limitarono a spararvi contro alcune raffiche di mitra.

Non è vero che la conquistarono sfondando il portone con il "panzer-faust", non è vero che i fascisti dopo strenua resistenza, abbiano abbandonato l'edificio ripiegando. Non è vero nulla. Il presidio della brigata, appostato alle finestre e alle feritoie, attese a lungo l'attacco partigiano. Ma l'attacco non venne, i partigiani non occuparono mai l'edificio e gli squadristi non abbandonarono il paese.

Tutto qui. La "battaglia di Gonzaga" si concluse con un atroce massacro di soldati tedeschi e di militi della GNR colti nel sonno e con l'uccisione di una donna, fulminata da una pattuglia partigiana alla periferia del paese. Per quanto concerne poi le "centinaia di prigionieri antifascisti detenuti" nel "lager" di Gonzaga e "liberati" dall'impeto vittorioso dei partigiani, va precisato che tali prigionieri, in tutto una quindicina, non si trovavano in nessun lager ma in alcune celle situate nella caserma tedesca. Questi prigionieri non furono assolutamente liberati dai partigiani. Anzi, allorché finito l'attacco, il comandante della Brigata Nera si offrì di liberarli onde sottrarli ad una eventuale rappresaglia tedesca, i prigionieri si rifiutarono di lasciare le celle, fidando che gli squadristi avrebbero testimoniato sulla loro assoluta mancanza di responsabilità in merito all'attacco partigiano. E nessuno, infatti, toccò loro un cappello."(69)  

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 31 Dicembre 1944 – Quinto bombardamento di Modena

 DOMENICA 31 DICEMBRE 1944

A Castelnuovo Rangone viene prelevato dalla sua abitazione per essere assassinato da sconosciuti, tale:

BARBIERI PAOLINO.(97)

Formazioni anglo-americane, nel pomeriggio di questo ultimo giorno dell'anno, sganciano su Modena e in particolare sul centro della città, molte bombe che distruggono molti edifici; venne notevolmente danneggiata la facciata del Palazzo di Giustizia prospiciente Piazza Grande, nel luogo dove attualmente ha sede la Cassa di Risparmio.

Fu questo, sulla città di Modena, il quinto bombardamento compiuto da formazioni di una certa consistenza, mentre furono numerosissimi gli attacchi compiuti da singoli aerei, con lancio di bombe isolate, mitragliamenti e spezzonamenti.

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